[AcLab] Ethic license --- dove l'open source non arriva

Nuccio Cantelmi n.cantelmi a bluehat.it
Mar 11 Gen 2011 08:52:03 UTC


Questa discussione si è fatta interessante anche se i temi da dibattere
sono "deflagrati"!!!!.
Non ho ben capito in quale punto della discussione si è passati dal
diritto d'autore alla proprietà intellettuale.
Se il primo è il presupposto indefettibile del riconoscimento giuridico
della paternità dell'opera, la seconda ne rappresenta la cancrena
oligopolica.
Possiamo essere d'accordo o meno sul fatto che le idee appartengano a
qualcuno. Eppure, un mio caro amico che sta per pubblicare un catalogo
musicale in cc si preoccupa comunque del fatto che almeno l'originalità
dell'opera e la sua paternità siano salvaguardate (per questo gli ho
suggerito la firma digitale oppure costozero.org...).
In ogni caso, il riconoscimento della paternità è un aspetto non
eludibile nella misura in cui il creatore (che è in realtà un
rimasticatore di idee in conto terzi ma in formula innovativa) ha
diritto e interesse ad essere riconosciuto come tale, pur quando non
abbia interesse ad esprimere le privative sull'opera e ne favorisca la
circolazione.
Se, dunque, il dda è un antefatto irrinunciabile anche per il mondo
floss, così non si può dire dell'enforcement e della proprietà
intellettuale.
Sono le sanzioni penali la cosa che fa inorridire maggiormente. Un conto
è chiedere il pagamento di una royalty (si può essere d'accordo o meno
anche su questo), un conto è una condanna penale per un reato che non
appartiene al novero dei delitti di diritto naturale.
Questo aspetto è importante per quelle culture diverse dalla nostra che
giungono in italia per cercare lavoro e che si vedono condannati dai
nostri tribunali per la vendita dei cd "pirata" o per l'assenza del
bollino siae: ma in quale mondo altenativo l'uomo è nato con un bollino
addosso???? §(perdonate lo sfogo ma son cose che mi rodono per averle
affrontate professionalmente, ma invariabile è la condanna...).
Per ciò che concerne il monopolio/oligopolio, da convinto assertore
della libertà individuale dallo stato inorridisco dinnanzi qualsiasi
forma di impero economico/politico. Purtroppo, i monopoli maturano nella
commistione tra capitale e politica e sono difficili da sgominare.
Essi rappresentano la morte di qualsiasi capacità di innovazione e di
confronto.
Non capisco l'avversione per la concorrenza dimostrata nel corso della
discussione: perché la concorrenza dovrebbe far male allo sviluppo
collettivo?
Lo stesso spirito della cultura hacker è basato sul fattore della
competenza e dell'emersione della leadership del più meritevole. Che
altro è questa se non una forma concorrenziale selettiva?
Non è la concorrenza il nemico, lo sono la concentrazione eccessiva da
un lato e l'individualismo dall'altro (che poi si autorafforzano
attraverso dei meccanismi culturali e mediatici, ma qui si aprirebbero
altre mille discussioni).
Occorre accrescere la consapevolezza dell'individuo che l'azione del
singolo può portare al benessere collettivo e, nel contempo, alla
soddisfazione degli interessi della persona che non necessariamente
coincidono con l'arricchimento e l'accaparramento.
In questo, l'economia del software libero è l'esempio principe. Ma allo
stesso modo si potrebbe dire delle forme di scambio equo e solidale che
si stanno affermando anche qui, nella calabria della mafia e del
disinteresse. Si dica lo stesso delle transitional town e di ogni altro
progetto nel quale l'uomo torna il centro del modello sociale.
Il punto fondamentale è e resta uno: superare la centralità del modello
proprietario e la dicotomia della proprietà pubblica/privata che ha
segnato lo scorso secolo.
Le cose devono essere considerate per la loro utilità, per la loro
capacità di portare beneficio ad una collettività indistinta o
qualificata, indipendentemente dal fatto che siano pubbliche o private.
Questa è la dottrina dei commons, le risorse collettive, in particolare
i commons della conoscenza.
Vabbé chiudo sennò nn finisco +........

Nuccio














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