[AcLab] chi è il più cattivo?

Angelo Rosina angros47 a yahoo.it
Mer 16 Dic 2009 13:46:39 GMT


> Si discute proprio per cercare di sviluppare il proprio
> senso critico. Dò
> dei giudizi etici (e quindi personali, visto che l'etica è
> una cosa
> personale) e peraltro mi sembra di aver detto chiaramente
> che nessuna
> azienda per me può essere accettabile, in nessun caso.

Non voglio andare troppo sul filosofico, ma etica e morale dovrebbero essere valori comuni, non personali.... se ti basi solo su ciò che TU ritieni giusto, rischi di cacciarti in un vicolo cieco. Secondo me, almeno.

> Può darsi che il
> loro interesse per il profitto, per puro caso, a volte li
> porti a fare
> qualcosa di decente (esempio: finanziare Linux), ma non so
> più come
> ripetere che la cosa non mi interessa...
> 
> 
> > Vorrei anche ricordare che, in una grande azienda,
> scelte diverse
> dipendono da persone diverse:
> 
> No. Le scelte di cui parlavo io, quelle etiche, sono
> scontate: inseguire
> il profitto. Una persona che fa una scelta diversa non può
> essere un
> manager. E fin qui non credo di aver scritto nulla di
> rivoluzionario:
> credo che nessun difensore del capitalismo abbia mai
> sostenuto il
> contrario :)

Personalmente ho visto singoli individui fare scelte molto piu' "avide", rispetto a grosse aziende; inoltre, quale e' il confine tra azienda e persona? La piccola azienda a conduzione familiare, dove sta? (e spesso, in campo informatico, la piccola azienda si comporta ancora peggio di quella grande)

 
> 
> Stai parlando di scelte tecniche. Una volta scelto di
> inseguire il
> profitto, l'individuo-manager sceglie in quale modo farlo.
> Può farlo
> sviluppando sistemi operativi proprietari o finanziando
> progetti liberi.
> Dal suo punto di vista (che non ha niente a che vedere col
> tuo) è solo
> questione di trovare il modo migliore per far soldi. Se
> fosse spinto da
> altre motivazioni non sarebbe un manager (per fare un
> esempio: Stallman,
> pur con tutte le sue contraddizioni, non è un manager).

Capisco, ma, come ti ho detto, noi possiamo solo basarci sui fatti: non possiamo sapere cosa pensa una persona, non possiamo sapere se fa qualcosa in modo disinteressato o se mira ad un profitto personale; possiamo però decidere se ciò che fa è utile o no (per noi e per gli altri), e se ci sono possibili conseguenze a lungo termine.

Una scelta consapevole va fatta in base a quello che possiamo vedere e controllare, non in base a quello che supponiamo o ipotizziamo (altrimenti perdiamo veramente la nostra libertà: fare leva su una questione di principio, aggiungendo un pizzico di disinformazione, è il modo piu' semplice per convincere qualcuno a diventare il tuo schiavo)


> 
> Quello è il concetto che sta alla base di SETI @ home (per
> fare un
> esempio), non certo del cloud. Quello di cui parli tu è
> condivisione - è
> uno dei termini più belli e più antichi. Il cloud è un
> modo per far soldi
> imponendo ai propri clienti di fidarsi al 100%. E' un
> termine di
> marketing.
> 

La definizione di "cloud computing", di per sè, è molto vaga: wikipedia riporta "In informatica, con il termine cloud computing si intende un insieme di tecnologie informatiche che permettono l'utilizzo di risorse hardware (storage, CPU) o software distribuite in remoto."

La piattaforma distribuita è fatta come ti ho detto io: il termine usato, "cloud", è sicuramente un termine piu' allettante (evoca una "nube" di particelle, un supercomputer costruito da migliaia di unità piu' piccole... quante volte il futuro ci è stato prospettato così? Si tratta di una immagine rassicurante, avveniristica, ideale per il marketing), ma il vero nome di ciò che viene fornito è "remote storage", e "Software as a Service"; chiamali in quel modo, e vedi che la reazione degli utenti è molto diversa; il concetto di "software as a service", quando l' ho sentito nominare per la prima volta, mi ha fatto inorridire (implicava l' idea di non poter copiare nessun programma, e nemmeno di scriverne di nuovi, e di dover usare in abbonamento quelli che si hanno, con la possibilità per il fornitore di bloccarti quando vuole), e credo che farebbe inorridire la maggior parte degli utenti; per questo usano (impropriamente) il termine "cloud
 computing", che in realtà c' entra poco.

> 
> > Quello che viene spesso chiamato cloud, in realtà, è
> il modello SaaS
> (Software as a Service), che effettivamente si può usare
> molto meglio su
> una piattaforma cloud (un singolo server non sarebbe
> accettabile, perchè
> un guasto causerebbe un disservizio a centinaia o migliaia
> di utenti).
> 
> Tecnicamente il SaaS è uno dei sottoinsiemi del cloud
> computing. Ce ne
> sono altri, ma interessano solo le aziende. Il SaaS invece
> interessa tutti
> (se lo intendiamo in senso strettissimo, è nato molto
> prima del WWW).

Il modello "client-server" è nato molto prima, e si usa ancora adesso; il SaaS non è un concetto informatico o tecnologico, ma commerciale, e riguarda il metodo di pagamento: con il modello delle licenze e del software proprietario, il software viene considerato come se fosse un bene materiale, e quindi "comprato" e "venduto", mentre con il SaaS, viene considerato, appunto, un "servizio", di cui tu compri una prestazione.


> Se io e te siamo amici e facciamo questo, non si chiama
> cloud ma
> condivisione, o magari solidarietà.

Se lo fanno due aziende, viene chiamato cloud (o anche se viene fatto all' interno della stessa azienda, con diversi server); un mio amico mi aveva spiegato proprio come, dove lavorava, stavano appunto realizzando un sistema del genere, in cui i dati erano memorizzati su piu' server, e quando da un terminale richiedevi una funzione in remoto, non sempre era lo stesso server a fornirtela; in questo modo, se un server doveva essere spento, non era necessario interrompere nulla, perchè tutte le sue funzioni venivano svolte dagli altri.
La vera tecnologia cloud è questa, e non è una cosa che generalmente interessi ai privati cittadini, ma solo alle aziende; per te, l' unico cambiamento potrebbe essere che i disservizi al bancomat diventano piu' rari (perchè tale struttura dovrebbe resistere meglio ai guasti), o che quando vai in un ufficio i crash della rete interna sono meno frequenti, ma niente di piu'.
Questa tecnologia è stata però usata come "scusa" per proporre un certo tipo di offerte commerciali, che di per sè non hanno nulla di innovativo, ma che vengono presentate come "nuove" grazie al fatto che usano questa nuova tecnica.


> Se invece pago
> Canonical per tenere in
> caldo i miei file, è un modo (sporco) per fare soldi.

Non necessariamente "sporco"; il backup in remoto non è affatto una novità, e nemmeno il noleggio di uno spazio di hosting. Il comportamento sleale si ha quando si cerca di convincere l' utente a lasciare i dati solo online, senza nessuna necessità di ciò, e spesso con condizioni-capestro poco chiare (tipo "quando mi gira posso cambiare le regole, e posso farti pagare per accedere ai tuoi stessi dati")

Canonical, per ora, si è comportata in modo (mi sembra) abbastanza bilanciato: mette a disposizione sia gli strumenti del lato server che quelli del lato client (così puoi usare il tuo server per lo storage remoto, se lo desideri), e poi affitta il suo spazio server, contando sul suo nome per attirare clienti; l' utente Ubuntu non è in nessun modo costretto, o nemmeno incoraggiato, ad usare tale opzione (potrebbe non sapere nemmeno di tale possibilità)

> 
> 
> > Il trusted computing merita un discorso a parte: in
> primo luogo, per
> definizione, non può funzionare su software aperto: l'
> utente potrebbe
> toglierlo, ed in genere avrebbe tutto l' interesse a farlo
> (anzi, ci
> riesce anche con il software proprietario,
> jailbreakandolo);
> 
> Purtroppo non è così: Linux supporta il cloud computing,
> per una precisa
> scelta di Linus Torvalds e di quelli che gli obbediscono
> ciecamente.

Il trusted o il cloud? Suppongo che tu voglia dire il trusted (qualunque sistema con un browser supporta il cloud).

Comunque, linux, per quanto ne so, non usa il trusted computing (inteso come sistema di certificazione delle applicazioni), e non avrebbe neanche senso (se distribuisco i programmi come sorgenti, è impossibile certificarli); le funzioni nel kernel consentono solo di attivare le routine proprietarie del BIOS che pilotano il TPM, e questo permetterebbe di poter criptare un file, ed essere in grado di riaprirlo solo con l' applicazione che l' ha creato; tale funzione non è necessariamente un limite alla mia libertà; lo diventerebbe se qualcuno decidesse di usarlo per salvare sul mio computer dei files cifrati, in modo da impedirmi di aprirli (ad esempio, un brano musicale che posso aprire solo con il suo lettore multimediale, e non con altri programmi, per impedire la copia); ma la stessa struttura aperta di linux previene tale rischio: io potrei infatti modificare il kernel, dirottando le API che controllano il TPM ad una serie di routine scritte da me,
 che gestiscano la cifratura solo via software (in questo modo potrei anche simulare la presenza di un TPM su un hardware che in realtà non ce l' ha, o viceversa); e se io ho scritto il sistema di cifratura, io posso anche decifrarlo. In sostanza: l' unico uso che mi viene in mente, per il TPM con linux, è un programma di cifratura, per salvare i dati su una chiavetta in modo che possano essere aperti solo con il computer che scelgo io (e tali sistemi, anche se realizzati via software, esistono da anni, anzi PgP, uno dei primi, era pure software libero)

> 
> 
> > L' hardware merita un discorso a parte: per ora, la
> vera minaccia viene
> dalla "Tivoizzazione"
> 
> Questo è solo un esempio. Ne vuoi uno più grave? Se stai
> usando Ubuntu con
> un driver proprietario per il wireless, probabilmente il
> produttore della
> scheda wireless viene costantemente informato dei tuoi
> spostamenti e tu
> non lo saprai mai.

Non saprei... puoi dirmi dove l' hai sentito?
Perchè le schede wireless (come tutte le schede di rete) hanno sempre usato funzioni proprietarie (incluse nel firmware) per avere un mac address fisso, ad esempio (e le schede wireless hanno altre funzioni proprietarie non modificabili che impediscono loro di "invadere" le frequenze già usate da altri, ad esempio).
Per trasmettere tutti i miei spostamenti, occorrerebbe:
-sapere la mia posizione (non così semplice, a meno che il mio computer non abbia un GPS integrato
-Avere la scheda accesa (ma questo inciderebbe sul consumo della batteria)
-Trasmettere via radio i dati della mia scheda; ma ti ricordo che io potrei non essermi collegato ad un router wifi pubblico: magari il router a cui mi collego è a casa mia (voglio potermi collegare da ogni stanza, quindi ho il router in una stanza, attaccato alla linea, e il portatile collegato ad esso col wifi); se sul router uso un driver aperto, che mi consente di monitorare tutto ciò che viene trasmesso, mi accorgerei subito se sono state aggiunte informazioni extra dalla scheda (soprattutto se la trasmissione è in chiaro, la presenza di dati cifrati che non dovrebbero esserci sarebbe quanto meno sospetta); sai quante denunce partirebbero?

> 
> Ma a me non frega nulla delle "minacce". Certo, sono un
> problema
> oggettivo, ma ci vuole troppo tempo ed energia per
> dimostrare che
> "pincopallino s.r.l fa questo e quello", e alla fine non
> serve a nessuno.
> La questione è di principio. non esiste nessun motivo per
> cui una persona
> (aka utente) non debba conoscere i progetti della sua
> scheda video o non
> possa visionare il sorgente del proprio bios.
> 

C' era un progetto di OpenBIOS, mi pare... il fatto è che non so se ho il coraggio di riflasharlo (un errore può essere molto difficile da rimediare)

> 
> > Sicuramente è difficile, ma forse qualche passo in
> questa direzione c'
> è:
> > http://blog.reprap.org/2009/04/first-reprapped-circuit.html
> 
> Grazie del link, è molto interessante. Però ammetterai
> che non è
> proponibile l'autoproduzione dei chip.
> 

Per il momento no.... quello che dico è che forse non è così lontano come sembra (un circuito elettronico si può già fare, ed esistono anche sistemi specializzati per la stampa di minicircuiti)

Non sto parlando di stampare un multicore.... ma forse tra qualche anno si potrà pensare ad un Z80 ;-)

> 
> > Ricordate il mio post "minimalismo-contromosse" ?
> Personalmente, uso
> ancora senza problemi un computer del 2001; il guaio è che
> per i
> computer
> > veramente vecchi, il software libero diventa
> introvabile; supponi di
> voler
> > riutilizzare un 286, ad esempio: di programmi
> interessanti ce ne sono,
> ma
> > sono tutti proprietari (se voglio un ambiente grafico,
> cosa uso? i
> migliori sono Geos o Win 3.1, proprietari, oppure c' è il
> GEM, ma è
> troppo
> > limitato).
> 
> E fai benissimo. Sarebbe interessante se tu ci dessi un
> elenco di
> pacchetti liberi (con anche i numeri di versioni)
> utilizzabili con il tuo
> vecchio pc. Personalmente penso che sarebbe utile renderlo
> pubblico (anche
> su aclab).

Come mi hai fatto notare, forse non sono liberi al 100%, comunque;
sul mio vecchio PC, ho ottenuto i migliori risultati con Knoppix (versione 5, la 6 ha una dotazione più scarsa): il mio computer incontra perfettamente i requisiti hardware ottimali (128 Mb di ram, in particolare), e la dotazione software di knoppix è ottime (Iceweasel, KDE, OpenOffice, GCC, GIMP, e altri)

Inoltre, si può mettere in dual boot, o avviare anche da una partizione FAT 32 (quindi non occorre neanche riformattare, se vuoi conservare i dati che avevi già)

Per sistemi meno potenti, un buon compromesso è DamnSmallLinux (in 50 mega hai comunque un corredo di software decente). I requisiti minimi sono 16 Mb di ram e 100 Mb di hard disk.

Per sistemi ancora più vecchi, BasLinux (un derivato di Slackware); può partire anche da floppy (occupa due dischetti), supporta X11, con links2 hai un browser grafico, puoi metterci anche AbiWord. Con un po' di fatica, bastano 8 Mb di ram (avevo sentito che, con lo swap, si riesce anche con 4, ma nelle prove con emulatore non ci sono riuscito)

Comunque, non c' è solo linux: freedos e minix, ad esempio, funzionano anche con sistemi inferiori.

Con il GEM, freedos permette di avere un ambiente grafico a finestre, ed una suite di programmi, anche su un preistorico 8086 (il GEM era software proprietario, ma la Digital Research ne ha rilasciato successivamente i sorgenti con licenza libera)

Non ho trovato nulla per i sistemi "intermedi" (286, e 386 con poca ram); pensavo al GEOS, ma è software proprietario, e pur essendo "obsoleto" i proprietari non lo mollano (ho provato a chiedere, e le risposte che ho ottenuto mi hanno solo fatto odiare ancora di più il software proprietario :-( )

Provare a realizzarne uno? Purtroppo per tali sistemi quasi tutto il software (inclusi i linguaggi di programmazione) erano proprietari.


> 
> 
> > Comunque, ho trovato un sistema operativo libero che
> potrebbe dare
> qualche
> > spunto, sia per riciclare l' hardware esistente
> (TUTTO), sia per
> procurarsi hardware nuovo: tale sistema si chiama Contiki
> > (http://www.sics.se/contiki/), supporta il multitasking,
> il
> > multithreading, l' interfaccia a finestre, e c' è un
> browser web (forse
> il
> > piu' piccolo al mondo) tra le applicazioni
> predefinite. I requisiti
> sono:
> > 42 k di memoria (sì, kilobyte, non megabyte!), e
> processore a 8 bit:
> funziona anche su un commodore 64, e si può usare su
> processori nati per
> applicazioni embedded (come l' Atmel AVR: pensate che tale
> processore
> sia
> > tpm-free?;-))
> 
> Interessante. L'hai provato?

Su un emulatore di Commodore 64 :-)

Che dire... funziona...

> 
> Purtroppo non è presente nell'elenco dei sistemi liberi
> della FSF:
> http://www.gnu.org/links/
> Sarebbe interessante (se ne hai voglia) contattare gli
> autori e chiedergli
> il motivo.

La licenza, di per sè, è libera; forse alla fsf non lo conoscono, semplicemente (in tal caso bisogna chiedere alla fsf, più che agli autori)

> 
> 
> > Eccoci al solito punto; ideologicamente hai ragione,
> ma tali soluzioni
> sono difficili da realizzare in pratica; magari ci riesci,
> ma finchè lo
> fai solo tu non se ne accorge nessuno: e se la tua
> soluzione è
> complicata,
> > e impegnativa, ti sarà difficile convincere altri a
> seguire il tuo
> esempio: pochi lo faranno, e sarà difficile ottenere
> risultati concreti.
> Per questo continuo a sostenere che, a problemi pratici,
> occorrono
> soluzioni pratiche; forse non puoi convincere un utente a
> diventare
> sviluppatore, ma puoi convincerlo a non finanziare piu' la
> realizzazione
> di software proprietario (e per questo, il potere di
> persuasione del
> free
> 
> Beh, chiunque non chiuda gli occhi davanti alle porcherie
> sa in che razza
> di mondo viviamo. Non credo che la situazione sia
> migliorabile con i
> piccoli gesti quotidiani, il consumo critico e via dicendo.
> Credo che sia
> assolutamente indispensabile un cambio radicale e... beh,
> non ho mai detto
> o pensato che sia facile :)

Capisco, ma non si può pensare di cambiare tutto il mondo da soli: si può invece pensare di iniziare una "reazione a catena", in cui altre persone aderiscano alle nostre scelte perchè si rendono conto che è utile anche a loro (ad esempio, usare il software libero perchè è gratuito, riciclare il vecchio hardware perchè costa molto meno che comprarne di nuovo, e così via), e comincino a promuoverle; in questo modo, si può "smuovere" un numero di persone sufficiente


bye


      



Maggiori informazioni sulla lista AcLab